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La commedia di Campanile trasforma il carcere augustano in Isola di libertà

AUGUSTA – Abbattendo le cancellate della scena, il metateatro umoristico valica spesso i contorni fantastici della fiaba. Imprigionato esclusivamente entro un’atmosfera d’integrazione collettiva e di recupero sociale, somigliava a Wendy e ai suoi fratelli, accompagnati dal celebre Peter Pan, il pubblico che venerdì pomeriggio ha assistito alla prima replica dello spettacolo “Il povero Piero” di Achille Campanile e che così si è lasciato guidare dai detenuti-attori della Casa di reclusione di Augusta. Nella sala teatro concessa dal direttore dell’istituto di pena Antonio Gelardi, gli attori da gennaio hanno ripreso l’attività teatrale, in un sodalizio con gli studenti del 2° Istituto d’istruzione superiore “Ruiz”, diretto dalla professoressa Maria Concetta Castorina, giunto quest’anno alla sesta edizione del progetto “Legalità – Il carcere va a scuola”.

il-povero-piero-teatro-detenuti-carcere-e-studenti-ruiz-augusta-2Hanno recitato e lo faranno ancora con almeno altre due repliche, riservate a parenti, autorità e compagni di cella, nei pomeriggi del 4 e 6 giugno: Diego Burzotta (nel ruolo del defunto Piero), Roberto Agnello (Paolo Demagisti), Tina Heing, (Lola), Francesco Antinolfi (Luigi), Gennaro Buccelli (Operaio), Vincenzo Cinquegrana (Marcantonio), Aniello Foria (Passante II), Marcello Montoro (Agente pompe funebri), Vincenzo Scuderi (Colonnello), Alice Bertuccio (Angelica), Chissokho Kasse (Primo passante – secondo operaio), Emilio Colella (Osvaldo), Giuseppe Cutello (Sig. Pelaez), Marco Daniele (Un visitatore), Giorgia Giangrande (Teresa), Stefania Iacopetta (Portinaia), Maria Infantino (Jone), Francesca Scala (Figlia di Paolo Demagisti), Desirée Triglia (Celeste), Giulia Tringali ( Ridabella). Scenografia e audio sono stati curati da Vincenzo Scuderi e Giuseppe Brancato; i costumi, invece, ricavati dagli armadi delle mamme dei ragazzi, hanno riproposto perfettamente lo stile vintage tipico dei primi anni del Novecento.

La stanza da letto di Piero era caratterizzata dal disordine tipico delle camere dove da tempo giace un ammalato, che quasi non riceve visite, all’infuori di quella del medico a ore fisse, le quali lasciano il tempo che trovano. I primi tempi veniva anche qualche amico o, un po’ meno, qualche parente. Poi, come succede, visto che la cosa prendeva per le lunghe, non venne più nessuno”. L’incipit della commedia, tratta dal romanzo del ’59 e scelta, per l’occasione, dal regista Davide Sbrogiò, assistito da Davide Passanisi, nel paradosso comunica una situazione reale, ovvero la difficoltà comune nell’accettare la diversità e l’atteggiamento schivo, dettato da pregiudizi divulgati, nei confronti di detenuti, immigrati, persone portatrici di handicap. “In 65 minuti di spettacolo“, dichiara il regista, “nonostante le prove siano iniziate un po’ in ritardo, anche questa sera abbiamo proposto cose esilaranti, di un raffinato umorismo, il risultato di due anime, due braccia che si sono unite alla fine di un percorso di grande valore artistico e sociale“. Sbrogiò aggiunge: “Tengo a sottolineare la bravura di molti di loro che prima non avevano mai recitato. Sono un grande estimatore di Campanile, per me un maestro del genere esilarante che, oggi, con il suo teatro, presenta la parola e il gesto come veicoli d’integrazione”.

Protagonista di un nuovo palcoscenico dell’assurdo è stata, dunque, un’emozione collettiva, obiettivo che i docenti Cettina Baffo, Marco Cannarella e Pasquale Traina, collaboratori della professoressa referente del progetto Giusi Lisi, si erano proposti e che il gruppo affiatato ha saputo realizzare appieno.

A chiudere la pièce, risate sarcastiche e amare che hanno condotto il pubblico alla riflessione, attraverso le parole lette dal giovane Kassel e che trovano in Francesco Antinolfi l’autore: “La differenza viene solitamente vissuta in termini positivi o negativi […] Vi sono casi dove la differenza è vissuta come “in” e istintivamente si tende ad accoglierla; e casi dove la differenza è percepita come “out” e abitualmente la si esclude. Il riemergere, poi, in questi anni, di paure e violenze che vanno dall’intolleranza ai fondamentalismi, alla conflittualità, al bullismo, pone alla società civile sollecitazioni e problemi di fronte ai quali certi metodi educativi risultano, ormai, desueti e inadeguati”.

È tuttavia possibile scavalcare queste barriere, secondo le docenti Baffo e Dispensa, rappresentanti dell’ampio programma di inserimento accolto dalla scuola. Sono testimonianza della sinergia lo stesso Kassel, immigrato in affidamento, e Tina, studentessa tedesca arrivata con Intercultura. Dietro le quinte, la professoressa Baffo conclude: “Credo fermamente che educazione e rieducazione si possano incontrare. Ciò che è venuto fuori dal nostro lavoro è stata una profonda umanità, dimostrata attraverso l’allegria e la leggerezza di un copione studiato e provato a lungo, dedicando un’ora la settimana a questo rapporto protettivo, quasi genitoriale, che si è instaurato in questi sei anni tra i nostri ragazzi e le persone che hanno sbagliato e che ora, possiamo dire, hanno raggiunto la loro isola di libertà”.

Alessandra Peluso


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