Pillole di resilienza anti-coronavirus. Chi saremo nel dopo Covid? Nulla sarà più come prima?
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AUGUSTA – Nell’emergenza sanitaria da Coronavirus, c’è da fare i conti anche con i risvolti psicologici a cui vanno incontro i cittadini in isolamento domiciliare per settimane come anche i lavoratori delle categorie rimaste attive, perché “essenziali” per decreto, in città semi-deserte. Accanto alle notizie, quelle verificate, su quanto sta accadendo, abbiamo ritenuto di fornire un ulteriore strumento di comprensione ai nostri lettori sul fronte psico-sociale. Così nasce la rubrica chiamata “Pillole di resilienza”, in chiave divulgativa, a cura dello psicologo augustano Francesco Cannavà.
Partiamo dal concetto di “dopo”: il termine si usa quando un evento è finito, ma data la portata planetaria dell’epidemia non si può escludere il rischio che un piccolo focolaio epidemico rimanga in qualche remota parte del mondo pronto a mutare per tornare ad espandersi nuovamente sotto un’altra forma, per cui è importante capire cosa saremo diventati come società italiana alla fine della fase più importante del contagio, quando, dopo una fase di convivenza con la presenza del virus nel nostro Paese, saremo ripartiti con l’economia, si tornerà ad uscire e saremo vaccinati contro questo virus.
Per ipotizzare il futuro si fanno di solito due cose: si analizza il presente e si studia il passato, soprattutto in psicologia sociale, dove le varianti da considerare sono pressocché infinite come le sfaccettature della natura umana, complicate dall’interazione tra loro.
Per facilitare le cose partiamo dal fatto che l’uomo, nella sua unicità di individuo, appartiene ad una specie gregaria (da gregge) con caratteristiche comuni, che si adatta al contesto che essa stessa crea attraverso l’interazione di tutti i suoi componenti in un sistema organizzato e che da questo contesto viene a sua volta influenzata nel modo di essere e di comportarsi di ogni individuo.
Diversamente dalle epidemie precedenti di questo secolo, Influenza Spagnola nel 1918, Influenza Asiatica nel 1957 e la sua variante di Hong Kong nel 1968, AIDS (HIV) dal 1981 ad oggi, SARS nel 2003, Ebola nel 2014, l’attuale pandemia si diffonde in un mondo accelerato, fortemente globalizzato, con un’intensità di spostamenti di persone e merci mai raggiunta prima e con una comunicazione dell’informazione immediata e globale. Insomma si diffonde nella società più interconnessa della storia umana… e la frena bruscamente, determinando risvolti psicologici, sociali ed economici mai conosciuti dall’attuale popolazione italiana, che sta resistendo riempiendosi di dubbi e paure per il futuro.
Ma cosa ci ha insegnato la storia dell’umanità di fronte alle epidemie, dalle pestilenze di epoca romana ad oggi?
Attraverso un’analisi dei fenomeni sociali da una prospettiva su più fronti: psicanalitico, psicosociale, comportamentale, si evince in estrema sintesi che dopo una fase di distanza dal problema, segue una di adattamento all’alterazione dello stile di vita accompagnata da disagi psicologici, emotivi e relazionali, poi l’indole umana a rialzarsi e riorganizzarsi, spostando nel passato il problema e catalogandolo come “affrontato”, si impone e porta, in un tempo proporzionale al riavvio delle attività socioeconomiche, ad una nuova normalizzazione fondata principalmente sui sistemi relazionali, economici e di comunicazione consentiti dalla cultura e dal livello tecnologico raggiunto dalla società.
Praticamente?
In Italia, in un tempo determinato dalla capacità del Paese di riavviare la macchina economica, con l’indole sociale ed empatica che contraddistingue il nostro popolo, grazie all’umanità dimostrata dalla popolazione stessa nell’impegnarsi nel sostegno e nella tutela di sé stessi e del prossimo, è corretto ipotizzare un ritorno alla normalità del quotidiano che precedeva lo scoppio dell’epidemia. Ebbene sì, la storia ci ha insegnato che l’uomo impara dai suoi errori fino a un certo punto… poi la brama di potere, l’interesse economico, l’individualismo, la sete di benessere che lo caratterizzano, prendono il sopravvento in una società sbilanciata con una minoranza ricca che gestisce una maggioranza povera in una società mondiale globalizzata tecnologicamente ma non socialmente. Perché il gruppo ha regole e dinamiche diverse dal singolo e per la regola della maggioranza, l’indole della specie vince sulla ragione del singolo. La pandemia, come la morte, tende a riportare tutti sullo stesso piano rispetto al rischio, ma crea un enorme divario rispetto alla sopravvivenza al virus! Ciò significa che chi stava meglio prima ripartirà per primo e chi stava peggio arrancherà più a lungo.
Quale differenza possiamo trovare allora con le epoche precedenti?
Oggi l’informazione è disponibile a tutti. Il potenziale per la ripartenza è dato dalle idee, dalla conoscenza e dalla collaborazione sociale, quindi rispetto a prima anche le classi più svantaggiate hanno accesso a strumenti culturali e sociali di ripresa. È maggiore il sostegno sociale e psicologico offerto. Le problematiche sociali giungono velocemente sui banchi del governo, il resto è volontà, desiderio di rialzarsi, resilienza.
Stando all’analisi fatta ci potremmo attendere quindi un periodo di riscoperta dei valori e delle emozioni; di ridefinizione degli obbiettivi e delle scelte personali e lavorative, di risveglio e unione sociale; ma anche una lunga fase legata ai postumi psicologici della paura, della reclusione, della perdita, con un’impennata di problematiche ansiose, depressive, di burnout lavorativo, di fratture familiari, accompagnate e complicate da difficoltà economiche. Le attuali ansie per il futuro se mal gestite potrebbero portare all’abbandono dei progetti personali, lavorativi, imprenditoriali, ma anche relazionali! Minando ad esempio le basi dei rapporti delle coppie che si accingevano al matrimonio prima dell’epidemia e che si sono ritrovate separate, frustrate e magari senza lavoro. Molto inciderà la modalità in cui i governi verranno concretamente in aiuto alla popolazione, anche sotto il profilo della comunicazione mediatica, perché nel nostro Paese una parte dell’ansia sociale è alimentata dalla percezione di disaccordo e confusione tra le forze politiche alla guida dell’Italia. Il resto lo faremo noi, ogni individuo nel suo piccolo, con ciò che può, in base alla propria indole e storia di vita, come sempre abbiamo fatto. La società sarà nuovamente il prodotto di chi siamo e noi saremo più utili alla società quanto più riusciremo ad apprendere e tramandare dall’esperienza che stiamo vivendo come persone, come famiglie come lavoratori e come popolazione.
Francesco Cannavà*
*Psicologo