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Oggi un Boss fa 66…

Il Blog sulla musica Rumore Bianco di Giulio Siniscalchi per La Gazzetta Augustana.it

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Signore e signori, oggi Bruce Springsteen compie 66 anni. 
Con ogni probabilità, l’abbiamo ascoltato tutti noi, e forse molti avranno anche l’adrenalinica “Born In The Usa” nella propria playlist musicale da allenamento. Ma per quanto ci possa piacere il vecchio Bruce non saremo mai in grado di comprenderlo fino in fondo, come d’altronde avviene per ogni “cantautore” locale.

Ok, definire “locale” un tizio che vende un album da più di venti milioni di copie in tutto il mondo probabilmente potrebbe anche essere perseguibile a livello penale ma spero sia chiaro il concetto.
 Springsteen nasce nel ’49, la seconda guerra mondiale è appena finita. Vive in pieno il conflitto Usa-Urss. È l’America che vedrà il buio periodo Nixon, lo scandalo del Watergate e la sanguinosa parentesi del Vietnam. Il Boss si è eretto a paladino e sostenitore della fede Americana che credeva nel riscatto, ha cantato la speranza per quelle classi sociali americane meno facoltose, invitandole a non mollare.

Con i suoi periodi di solitudine e (ipotetica) reclusione è diventato un po’ lo specchio proprio di quella società americana in rovina, ma alla fine è stato sempre portatore di quella sorta di “luce che non si spegne mai”. Di umili origini, madre di discendenza italiana e padre guidatore di autobus, da piccolo decise di impugnare la chitarra guardando Elvis e le altre leggende del rock. E decise che si sarebbe fatto portatore di speranza attraverso la musica, perché è proprio vero che una bella canzone da sola può in parte migliorati la giornata.

Springsteen sale alla ribalta mondiale come rockstar atipica, predilige una sorta di rigore morale rispetto alle stravaganze del “punk-rock” che si sviluppava parallelamente in quegli anni, niente abusi di droghe e alcool. Non lascia trasparire la rabbia o la ribellione nella sua musica, niente proclami autodistruttivi o voglia di farla finita, ma al contrario tanta speranza.
 Inevitabilmente affiancato alla figura di Dylan, anche lui inizia con la tipica “folk-music” americana, che però poi caricherà di elettricità.

Proprio dal “buon” Zimmerman raccoglierà lo scettro di icona generazionale e proverà a portarlo alto fino ai giorni nostri, creando una musica che, pur non stupendo, trasmette sempre tanta energia. Perché è musica fatta col cuore, è “rock” e, si sa, quello ti brucia dentro e ti scorre nelle vene e in quel caso l’innovazione e i tecnicismi non sono necessari, perché è il messaggio a farla da padrone. Una carriera ricca di successi, per uno che è venuto dal basso, ricca di amori, di canzoni, di concerti e di album.

Ed anche se io personalmente amo analizzare i singoli album nel dettaglio e il loro susseguirsi negli anni, perché raccontano il progresso dell’artista, la sua evoluzione, il suo pensiero che muta e cambia mi limiterò a citarne solo alcuni, quelli che con ogni probabilità sono impressi in maniera indelebile nella storia del rock americano e mondiale.

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Fonte della foto: http://www.rollingstone.com/music/news/bruce-springsteen-1978-cleveland-concert-archives-20141224

Si parte dal ’75, dai sogni e dalle speranze di “Born To Run” che sotto forma di una fantastica opera rock ci invita a correre per inseguire i nostri sogni fin dalle prime note di piano di “Thunder Road”, ci sono amori adolescenziali misti a note di sassofono per un album che finalmente regalerà a Bruce il successo.

L’opera prosegue cinque anni dopo con il suo doppio album capolavoro “The River” che contiene l’omonima canzone, espressione altissima della scrittura di Springsteen, dove il fiume diventa lo specchio esistenziale di noi stessi, rappresentando i ricordi, i sentimenti e la loro persecuzione sul nostro presente. Il tutto accompagnato da una magnifica armonica ed un piano struggente che ci invita a lasciarci andare e piangere.

Nell’82 mentre l’Italia era sul tetto del mondo, Bruce era chiuso in casa in solitudine a registrare il suo album più oscuro e malinconico: Nebraska. Che con un fortissimo grido di dolore sembra volerci dire che la luce della speranza si è definitivamente spenta.

Stessa luce che però si riaccenderà due anni dopo, quando con il vendutissimo “Born In The Usa” tornerà prepotente il pop-rock, eccessivamente secondo alcuni. Una musica energica com non mai, i giovani sognatori di strada ormai grandi che fanno i conti con i loro ricordi, l’amore, l’amicizia e le proprie radici, per Bruce vale ancora la pena di combattere nonostante una costante malinconia che serpeggia latente dall’inizio alla fine dell’album.

Non saremo Americani, non saremo cresciuti nel New Jersey, non avremo vissuto di persona gli anni bui dell’America nixoniana, ma la musica del boss nonostante gli anni, nonostante le distanza ci ha dato e continuerà a darci sempre tanta speranza, invitandoci a non mollare e a correre per inseguire i nostri sogni e fuggire dalla città in fiamme.

Quindi grazie e buon compleanno Boss!


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