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Augusta, “violenza sessuale sui minori”: profili psicologici, numeri e prevenzione

AUGUSTA – Dalla notizia di grande clamore nazionale delle presunte violenze sessuali sulle due cuginette di Caivano (Napoli), di 10 e 12 anni, alla successiva notizia a Monreale (Palermo) della violenza sessuale di gruppo su due sorelle, all’epoca dei fatti contestati minori di 10 anni, che hanno portato all’arresto a vario titolo di nonno, zio e genitori. Vicende che hanno dato il là alla necessità di parlarne anche ad Augusta, con relatori qualificati, sia per il profilo psicologico che per quello giuridico. Così si è tenuto ieri sera nella centrale sede dell’associazione filantropica “Umberto I” il convegno dal titolo “Violenza sessuale sui minori“, promosso dal sodalizio ospitante e dall’Unitre di Augusta.

Dopo i consueti saluti di rito dei rispettivi presidenti, Mimmo Di Franco e Salvo Cannavà, oltre che del sindaco Giuseppe Di Mare, il delicato argomento è stato introdotto da Cannavà, nella qualità di psicologo, il quale ha voluto fare un’analisi di cosa ci sia a monte della violenza sui minori, perpetrata da minori.

Sottolineando l’aspetto dei diritti dei minori, in genere, il primo relatore ha osservato che “dobbiamo essere noi adulti a insegnare ai minori i fondamentali crismi del vivere civile“. Ha fatto riferimento all’ambiente e alle ragioni potenzialmente foriere della violenza: “cattiva educazione: della mente, dello spirito, dell’ingegno, della fantasia, della memoria, ecc.; mancanza di etica: riflessione intorno al comportamento del minore per carenza nell’indicare quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a conseguirlo; mancanza di rispetto: atteggiamento irriguardoso, di disistima e di gratuita cattiveria verso una persona apparentemente più debole da parte del “branco”. Dipendenza: psichica dal bisogno di prevalere e inconscia non-autonomia infantile che si manifesta nel nevrotico comportamento violento, del singolo o del branco. Spesso, la forza del branco di insulsi minorenni contro loro coetanee è data dalla consapevolezza di non poter agire contro donne più grandi di loro e meglio capaci di difendersi“.

Cannavà, per brevità di trattazione, si è limitato a osservare i presupposti psicologici a monte di quelli che definisce “scempi sociali”. “Quando noi psicologi veniamo chiamati a formulare un profilo psicologico del violentatore, frequentemente, troviamo un individuo singolarmente fragile, insicuro – ha raccontato – afflitto da sindrome da prestazione, da carenza affettiva, da confusione mentale, da disattenzione da parte della società, da cattiva educazione, da mancanza di sani rifermenti negli adulti. Assetato e bisognoso di attenzione, di protagonismo, di approvazione esterna. Del surrogato alla propria disistima, alla scarsa fiducia in sé stesso. Di inebriarsi dell’effimero successo di branco“.

Cannavà ha invitato la platea a riflettere sull’impatto psicologico sulla vittima di violenza e, in seguito, sugli stessi aggressori per postumi e tardivi sensi di colpa. Disturbi comportamentali e psicosomatici riconducibili al grave evento emozionale vissuto – ha riferito – Che, nella sua complessità, possiede caratteristiche plurifattoriali; vi troviamo, infatti, implicate varie categorie di risposte: risposte soggettive (senso di disagio o di apprensione, che viene paragonato a una sensazione di pericolo imminente); risposte cognitive (preoccupazioni, pensieri di pericolo, ipervigilanza, aspettative negative); diminuzione della fiducia in sé stessi; risposte di attivazione fisiologica (tensione muscolare, iperventilazione, palpitazioni o tachicardia, bisogno di urinare frequentemente, dispnea, sudorazione, cefalea, annebbiamenti della vista, tremore, gastrite, dermatosi, amenorrea secondaria, ecc.); preoccupazioni, pensieri ed immagini mentali spiacevoli, aspettative di fallimento e autosvalutazione; conflitti interpersonali, induzione all’utilizzo di sostanze alcoliche o stupefacenti; sintomi intrusivi, di evitamento e di aumentata attivazione psicofisiologica (es.: agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando); disagio psicologico intenso o reattività fisiologica intensa all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomiglino a qualche aspetto dell’evento traumatico vissuto; sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma; sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma; incapacità di ricordare qualche aspetto importante della violenza subita (da riferire alle forze dell’ordine); riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative (studio, sport, vita sociale, ecc.); difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno; irritabilità o scoppi di collera o di pianto; difficoltà a concentrarsi; esagerate risposte di allarme; intenzioni autolesionistiche; problemi esistenziali e/o comportamentali anche nei mesi ed anni successivi, lontani dalla violenza subita scatenante; e ancora: lento processo di “logoramento” o “decadenza” psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare e metabolizzare la violenza subita. Depressione, isolamento sociale e autocolpevolizzazione, fino al suicidio. Non è raro che atti di violenza, mai confidati alla famiglia o mai denunciati, emergano da adulti, compromettendo una sana affettività“.

L’aspetto giuridico del fenomeno maladattativo è stato trattato dall’avvocata Stefania D’Agostino, presidente dell’associazione antiviolenza “Nesea”, che ha definito violenza sessuale “qualsiasi attività sessuale con una persona che non voglia o sia impossibilitata ad acconsentire all’atto sessuale a causa di alcol, droga o altre situazioni“, intendendo per atto sessuale “qualsiasi tipo di atto che esprima l’impulso sessuale dell’agente con invasione della sfera sessuale del soggetto passivo, inclusi, pertanto, toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime delle vittime“.

Sono considerati atti sessuali non solo gli atti che involgono la sfera genitale, bensì tutti quelli che riguardano le zone erogene su persona non consenziente; anche il mero sfioramento con le labbra sul viso altrui per dare un bacio – ha precisato l’avvocata – allorché l’atto, sia tale da superare la contraria volontà del soggetto passivo. Nel caso specifico della violenza sessuale del minore il bene giuridico tutelato è l’integrità psico-fisica del minore nell’ambito di una progettualità di corretto ed armonico sviluppo della personalità e sessualità del minore“. Ha precisato anche sulla “età del consenso“, “che, in Italia, è diversa dalla maggiore età e da quella in cui è possibile contrarre matrimonio (ossia l’età in cui una persona è considerata capace di dare il proprio consenso a compiere atti sessuali) ed è pari a 14 anni“, ritenuti adeguati “affinché un soggetto possa disporre liberamente e consapevolmente della propria sfera sessuale“.

Quanto alle pene previste dal codice penale, D’Agostino ha asserito: “In Italia, il reato di atti sessuali con minorenni è trattato con la massima severità, tant’è vero che è punito con la stessa pena prevista per la violenza sessuale, ossia con reclusione da 6 a 12 anni. Nell’ipotesi in cui il minore abbia già compiuto i 16 anni la pena va da 3 a 6 anni di reclusione. Qualora il minore non abbia ancora compiuto i 10 anni, tuttavia, la pena è raddoppiata, per cui va da un minimo di 12 a un massimo di 24 anni di reclusione. Al di sotto dei 14 anni è sempre reato, a prescindere dal consenso“. “Un minorenne che compie atti sessuali con altro minorenne non commette alcun reato – ha proseguito – a patto che sussistano due condizioni: 1) che il più piccolo dei due abbia compiuto i 13 anni (es. il quindicenne che fa sesso con una dodicenne commette sempre reato); 2) che la differenza di età tra i due non sia superiore a 4 anni (es. un ragazzo di 17 anni e 6 mesi può fare sesso con una ragazza di 13 anni e 9 mesi, non invece con una ragazza di 13 anni e 3 mesi)“.

L’avvocata D’Agostino ha menzionato i numeri di questa piaga sociale in Italia: “In totale ci sono 23.122 giovani, a volte poco più che bambini, ospitati all’interno di 3.605 comunità; di questi 1.030 sono minori responsabili di abusi sessuali, di cui 607 sono accusati di violenze sessuale individuale, 289 minori autori di abusi in branco, 110 minorenni che hanno avuto rapporti sessuali con minori di anni 14 (l’ipotesi cui accennavo poco fa) e 24 il minore che ha costretto un minore di 14 anni ad assistere a un atto sessuale. Dai dati rilevati dai ventinove Uffici di Servizio sociale per i minorenni della Giustizia minorile che si occupano di seguire gli autori di reato ex art. 609 decies del c.p., emergono le seguenti caratteristiche dei minorenni autori di reati a sfondo sessuale: nel 99% del nostro campione i soggetti sono di genere maschile, prevalentemente adolescenti tra i 15 e 17 anni (55%) e di nazionalità italiana (81%). Nel 71% dei casi ha frequentato la scuola secondaria di 1° grado (scuole medie), mentre il 15% di essi ha conseguito solo la licenza elementare“.

Nella sua relazione, la giurista è passata alle proposte di prevenzione: “Spesso si pensa che un contesto familiare e relazionale ben strutturato renda immuni i propri figli dall’essere vittima di un abuso sessuale ma anche la costante attenzione dei genitori può non essere sufficiente a proteggere i nostri ragazzi dall’abuso sessuale; è necessario che un’informazione corretta giunga ai minori dalla scuola, prevedendo l’inserimento nei programmi scolastici di materiale didattico su tematiche quali la parità dei sessi, il concetto di reciproco rispetto, una corretta educazione sessuale. La nostra generazione cresciuta all’interno di famiglie ove il sesso era un tabù, spesso, non è in grado di parlare ai propri figli di sessualità. E non biasimiamo i genitori che non riescono a farlo. L’educazione sessuale, purtroppo allo stato attuale, non può che essere un onere esclusivamente della scuola e delle istituzioni. È importante sottolineare che la prevenzione nell’ambito scolastico è finalizzata a creare un contesto socio-educativo che potenzi i meccanismi protettivi e riduca i fattori di rischio, perseguendo la protezione generale dei minori affinché essi non siano né vittime, né autori di reati a carattere sessuale e ricordando che un minore abusato può diventare un adulto abusante“.

In tema di prevenzione, il presidente dell’associazione filantropica, Mimmo Di Franco ha proposto “una consulta permanente formata da uno psicologo, un sessuologo, un docente, un rappresentante delle forze dell’ordine, l’assessore alla pubblica istruzione, per verificare eventuali criticità e prevenire. Bisognerebbe chiedere al Governo, considerato l’aumento dei reati, di inserire in pianta organica in ogni istituto uno psicologo e un sessuologo, con un’ora di lezione dedicata“.

A conclusione delle due relazioni tecniche, ulteriori contributi sono stati offerti al microfono dal generale dei carabinieri in pensione Vincenzo Inzolia, dal professore Giuseppe Cassisi e dall’assessore comunale Pino Carrabino, che hanno accoratamente richiamato il ruolo insostituibile della famiglia, ritenuto troppo allentato, e sottolineato la funzione di prevenzione che svolgono sia la scuola che le associazioni antiviolenza, a cui, però, andrebbero forniti programmi e mezzi adeguati in collaborazione con le forze dell’ordine.

(Nella foto di copertina, da sinistra: Cannavà, D’Agostino, Di Franco)


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