Breve storia di Augusta: Faro Santa Croce, Hangar, Diga foranea, Base navale


AUGUSTA – Nell’ambito di una più ampia iniziativa editoriale promossa da La Gazzetta Augustana.it di divulgazione e promozione della storia di Augusta, abbiamo previsto una rubrica settimanale tematica nel nostro web magazine di approfondimento “Cultura”. Ha per titolo “Breve Storia di Augusta” ed è curata da Filippo Salvatore Lentini, detto Salvo, già ufficiale della Marina Militare, che da appassionato alle vicende storiche e alle tradizioni augustane, facendo ricorso ad un’estesa bibliografia che comprende i numeri del “Notiziario storico di Augusta” e i diversi lavori succedutisi nel tempo di noti studiosi della storia cittadina (che Lentini ci ha chiesto di menzionare in ordine casuale in premessa: Mario Mentesana, Elio Salerno, Tullio Marcon, Ennio Salerno, Vincenzo Cacciaguerra, Ezechiele Salerno, Giorgio Casole, Sebastiano Salomone, Giovanni Vaccaro, Giuseppe Messina, Giovanni Satta, Giuseppe Carrabino, Italo Russo e non solo), ha pubblicato nel 2008 l’apprezzata opera dal titolo “L’Isola delle Palme”. Offrirà ai lettori de La Gazzetta Augustana.it, per la prima volta su una testata, la versione ridotta e adattata al web della sua pubblicazione.
30. Faro Santa Croce, Hangar, Diga foranea, Base navale.
- Faro Santa Croce
Nel 1856 i borboni costruirono una torre con una lanterna, per agevolare e proteggere la navigazione lungo la costa del Monte Tauro. Questo segnalatore marittimo fu costruito in contrada Sant’Elena e venne chiamato Faro di Santa Croce, dal nome dell’omonimo Capo proteso sul mare Ionio, sul quale vigilava. Il nome del Capo marittimo e quello della Contrada, che comprende l’intera vasta area extraurbana di Sant’Elena, derivano entrambi da un’unica e particolare leggenda. Secondo questa tradizione, la nave che nel 324 trasportava l’Imperatrice Elena di Bisanzio, madre dell’Imperatore Costantino, di ritorno dal pellegrinaggio in Terra Santa e con a bordo un prezioso carico contenente delle reliquie della Santa Croce, fu costretta da una violenta tempesta ad approdare sulla costa sud-orientale del Monte Tauro. Fu proprio in questo luogo che l’Imperatrice, in segno di ringraziamento per lo
scampato pericolo e del relativo salvataggio dei resti della Croce sulla quale morì Gesù Cristo, fece costruire una piccola chiesa dedicata proprio alla Santa Croce e fece innalzare anche una grande croce. Infatti, sin dai tempi remoti, si è sempre parlato dell’esistenza di una croce, posta proprio nelle vicinanze di questo faro ed andata distrutta nella seconda parte del Millenovecento, per le intemperie del tempo. Anche se tali indizi portano a credere che l’avvenimento riguardante la futura Sant’Elena sia più una credenza locale che un fatto veramente accaduto, da allora quest’estremità del Monte Tauro prese il nome di Capo di Santa Croce.
Più tardi nei secoli alcuni eremiti, dopo che l’Imperatrice Elena era già stata santificata, a ricordo del miracoloso scampato naufragio, eressero in questa zona un piccolo eremo con una chiesetta, dedicata al culto di Sant’Elena: la presenza di questo modesto insediamento religioso, diede il nome all’intera zona che, per l’appunto, diventò l’attuale Contrada Sant’Elena. Questa parte del Monte Tauro negli anni è divenuta una zona molto frequentata, grazie soprattutto alla sua naturale ‘accoppiata’ rappresentata dalla presenza di svariata ed ombreggiante vegetazione e di una vasta ed accogliente scogliera. La prima permette di vivere in mezzo ad un gradevole ambiente ricco di rigogliosa e profumata vegetazione, mentre la scogliera, riflettente su uno splendido e azzurro mare aperto, offre la possibilità di fare dei rinfrescanti e salutari bagni estivi. Sin dall’inizio del Novecento, dopo lunghi anni di continuo declino, sia l’eremo che la piccola chiesa, custoditi nell’ultimo periodo della loro esistenza dal frate Giuseppe Scarpato, furono abbandonati a causa delle loro precarie condizioni di stabilità. Acquistato da privati, l’ex edificio sacro fu trasformato in abitazione civile, prevalentemente utilizzata come luogo di villeggiatura estiva. La zona, splendido luogo di balneazione, è nota ai più avanti negli anni anche come “u faru i Sant’Elina”, per la presenza appunto di quel segnalatore marittimo voluto dai borboni, pochi anni prima che avvenisse l’Unità d’Italia.
- Hangar
Subito dopo la conclusione della Grande Guerra, si ripresero i lavori, già iniziati a Novembre del 1917, per completare la costruzione dell’Hangar e dare alloggio ai dirigibili aventi la loro base ad Augusta. Ultimato nel 1920 l’Hangar, costruzione tutta in cemento armato e sicuramente l’unica del suo genere ancora esistente nel vecchio continente, fu utilizzato soltanto per un brevissimo periodo di tempo a cominciare dal 1924 e per di più per attività di addestramento e di ricognizione. Infatti, alla fine degli Anni Venti, le già rinnovate tecniche di guerra tolsero la funzione originaria dei dirigibili e li relegarono, assieme all’Hangar, ad un ruolo d’irrilevante utilità militare. La vasta area intorno alla ‘colossale’ costruzione, che da allora è sempre lì ed ormai fa parte dello stesso paesaggio, dal 1925 venne utilizzata dal nascente idroscalo, posto lungo l’ansa settentrionale del porto megarese, che l’anno successivo fu dedicato alla memoria dell’ufficiale pilota Luigi Spagnolo e rimase attivo fino al 1958, ospitando alcuni idrovolanti per il Soccorso Aereo Italiano, servizio in seguito soppresso. Nel 1965 l’Hangar fu utilizzato quale sede della Sezione Aerea della Guardia di Finanza che, per un periodo limitato, vi operò con la sua formazione di elicotteri. D’allora in poi l’area dell’ex aeroporto è rimasta del tutto abbandonata e lo stesso Hangar, nonostante che dal 1987 sia stato dichiarato quale opera di alto interesse storico-monumentale, è soggetto alle incurie del tempo che ne hanno inesorabilmente messa a rischio la sua stessa stabilità strutturale. Per fortuna la recente costituzione dell’Associazione Hangar Team Augusta, che raggruppa diversi Augustani ed è basata soltanto sul volontariato e senza fini di lucro, si sta impegnando affinché l’inestimabile bene culturale qual è l’Hangar e tutto il parco circostante siano recuperati, degnamente valorizzati e utilizzati dal Comune a beneficio dei cittadini.
- Diga foranea
La necessità di restringere l’ingresso nell’insenatura megarese, per trasformarla in un bacino portuale fra i più dotati del Mediterraneo, con soli due ingressi e molto più protetto, suggerì la costruzione di una diga foranea. I lavori per la costruzione di queste ostruzioni marine, i cui primi sondaggi furono eseguiti addirittura nel 1824 dai regnanti Borbone, iniziarono nel 1917, quando era ancora in corso il conflitto bellico. Negli anni Venti la lunga barriera fu costruita iniziando a colmare i profondi fondali con banchi di sabbia e di ghiaia, sormontati a loro volta da scogli e pietrame vario. In seguito, su questo primo strato di cordone, furono posati dei massi prefabbricati ed emergenti, facenti da frangiflutti, che diedero la definitiva configurazione alla diga. Gli scogli ed il pietrame, impiegati nella costruzione, furono presi dalle tante cave spesso ricavate nelle splendide coste del Monte Tauro, lungo l’attuale tracciato che da Punta Izzo arriva fino alla zona che localmente è conosciuta come ‘Villa Marina’, causando l’arretramento ed il conseguente indebolimento delle stesse coste, private così dai loro naturali frangiflutti. Anche il materiale per realizzare i grossi massi fu prelevato nelle stesse cave del Tauro, da dove rilevanti quantità di pietrisco furono staccate, con gravi deturpazioni dei litorali del ‘Monte’ che, come detto, ne segnarono per sempre la loro originaria conformazione. I grossi cubi di calcestruzzo si fabbricavano in una zona del Granatello e del Campo Palma, luoghi attrezzati al caso, per poi essere trasportati e sistemati per il completamento elevato della diga; l’intero sbarramento portuale fu ultimato nel 1939. La completa realizzazione della diga foranea apportò ancor più conforto alla vasta insenatura megarese, dove all’interno era già esistente il primo vero scalo marittimo cittadino, ovvero l’attuale vecchia darsena. La darsena era stata creata dagli spagnoli sul finire del Seicento con la costruzione di un molo che, saggiamente creato con quella particolare forma curva dove oggi vi sono i cantieri navali Noè, separò di fatto la lunga riva del versante di Ponente con quel porticciolo dove tanti pescatori tiravano a riva le loro piccole imbarcazioni. A datare dagli Anni ‘30 del Novecento quel sito venne attorniato e migliorato con la costruzione delle banchine lungo il suo perimetro.
Qualche tempo prima questo braccio di terra, denominato ‘Molo San Domenico’, era utilizzato per immagazzinare delle elevate quantità di carbone, il combustibile impiegato per alimentare le caldaie delle imbarcazioni a vapore dell’epoca. Nella parte opposta della darsena, dove in seguito sorgerà l’Arsenale Militare, vi era un’altra area anch’essa destinata a deposito di carbone e, ancorata stabilmente nei pressi dei forti Garsia e Vittoria, si trovava la nave carboniera Massilia adibita a deposito galleggiante dello stesso genere di combustibile. Col mutare dei sistemi di propulsione navale, che apportarono un sempre crescente consumo del carburante liquido, si determinò il declino dell’utilizzo del carbone e l’inutile esistenza dei suoi depositi nell’area portuale.
Lo sgombero dei vecchi magazzini di carbone ed i serbatoi contenenti il combustibile liquido costruiti dalla Marina Militare, sempre nella zona portuale, permise di collocare le prime costruzioni ed alcuni nuovi impianti atti ad ospitare il grande complesso dell’arsenale militare. Sempre in quella stessa area, nel 1935 furono costruite anche due palazzine per dare alloggio ai militari in servizio presso la base navale di Augusta. Questo complesso abitativo, che ancora oggi viene utilizzato da Ufficiali e Sottufficiali della Marina Militare, fu intitolato al ricordo del C.F. Paolo Vandone, comandante del sommergibile Veniero, scomparso assieme al suo equipaggio il 26 Agosto del 1925, al largo di Capo Passero. Il passaggio dal combustibile solido a quello liquido, necessario per i moderni sistemi di propulsione navale, fece da traino all’installazione dello stabilimento ‘Nafta’ (in seguito diventato ‘Shell’, poi ‘Macet’ e quindi l’attuale ‘Maxcom’) che, all’inizio degli anni Venti, sorse in un’area compresa fra la zona dove in seguito nacque il Campo Sportivo Palma e la stazione ferroviaria, ovvero lo stesso sito dove è ancora oggi esistente.
- Base navale
Nello stesso ventennio in cui si eseguirono i lavori per costruire la diga a protezione dell’insenatura megarese, si realizzarono anche tante altre opere a supporto della grande e moderna base navale che si volle creare per ripristinare l’importanza mili-tare ad Augusta. Così, dopo l’ hangar, l’idroscalo ed altre costruzioni ausiliarie, sorsero anche l’importante banchina torpediniere, le officine per le riparazioni navali, il bacino di carenaggio, i magazzini di casermaggio, l’infermeria e gli edifici per ospitare gli organi costituenti il Comando della Regia Marina di Augusta. Inoltre, tutto il complesso militare e la stessa area urbana, furono protetti con l’installazione di varie batterie antiaeree e antinave, dislocate opportunamente in alcuni punti strategici nei dintorni della città. La nascita del comprensorio del Comando della Marina Militare nella parte estrema di Terravecchia fu agevolata dalla precedente apertura del nuovo varco che, attraverso la Porta dell’antica cinta muraria aragonese, aveva fatto sorgere una strada per collegare con più facilità questa zona periferica con il centro cittadino. Infatti, appena un ventennio prima era stato inaugurato il Viale Risorgimento che in sostanza costituì la continuazione della Via Principe Umberto generando quella rettilinea e lunghissima strada che da Nord a Sud attraversa l’intera città, avvicinando di molto il centro storico con la poca abitata e quasi deserta zona nella quale sarebbe sorto il comprensorio militare.
La costruzione della nuova banchina torpediniere, collocata fra il molo Sant’Andrea e l’allora cala di ponente, facilitò la sistemazione ad Augusta della Scuola di Comando Navale che in questa base trovò l’ambiente ideale per il suo insediamento; tale dislocazione, avvenuta nel 1938, costituì inoltre una ulteriore forza navale da poter eventualmente impiegare nel vicino e strategico Canale di Sicilia. Il 18 Settembre del 2007, alla presenza dei parenti e delle autorità preposte, la Banchina Torpediniere è stata dedicata alla memoria dell’ing. Tullio Marcon, lo storiografo locale avente anche dei trascorsi quale Ufficiale della Marina Militare.
Salvo Lentini