Augusta e i pericoli nascosti dal mar Ionio, intervista al geologo Marco Neri (Ingv)


AUGUSTA – Si è tenuta lo scorso 21 febbraio, al Circolo ufficiali “Vandone” della Marina militare di Augusta, una conferenza focalizzata sul rischio sismico, vulcanico e da tsunami in Sicilia orientale e in particolare nell’area di Augusta. L’evento, organizzato dalla sezione Brucoli-Augusta della Lega navale italiana, ha avuto come relatore l’augustano Marco Neri, dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), dal 2020 vice-commissario del governo italiano per la ricostruzione dell’area etnea colpita dal sisma 2018.
L’autorevole geologo ha iniziato discutendo di cambiamenti climatici, sottolineando che la velocità con cui si manifestano negli ultimi decenni non ha avuto eguali del passato geologico della Terra. In particolare, ha evidenziato che le conseguenze del riscaldamento globale si stanno già riflettendo sulle coste marine mediante vistose erosioni che nei prossimi decenni probabilmente metteranno in pericolo l’esistenza stessa di numerose città costiere in tutto il mondo. Ma il mare interagisce con la terraferma anche in molti altri modi, alcuni dei quali del tutto invisibili agli occhi degli uomini.

La Gazzetta Augustana.it ha inteso approfondire su tali questioni di grande interesse pubblico e in particolare sulla pericolosità sismica del territorio di Augusta, intervistando Marco Neri a margine della conferenza.
Dott. Neri, cosa ci nascondono gli oceani?
Il globo terrestre è per 2/3 coperto da acque marine e solo da pochi decenni abbiamo gli strumenti adeguati per studiarne i fondali. Insomma, sappiamo ancora relativamente poco di questo ambiente per gran parte a noi ancora “alieno”, ma ciò che abbiamo scoperto ci ha restituito un pianeta più complesso di quanto si poteva immaginare in passato. Gli oceani sono percorsi da sessantamila chilometri di catene montuose sommerse, che occasionalmente emergono dal mare raccordandosi con quelle visibili in superficie ed individuando nell’insieme i margini delle placche tettoniche. Lungo questi margini si concentra la stragrande maggioranza dell’attività sismica e vulcanica del pianeta ed è per questo che è importante studiare con estrema attenzione ciò che avviene sui fondali marini.
Perché vulcani e terremoti si concentrano proprio sui margini delle placche tettoniche?
Perché i margini che mettono in contatto le placche tettoniche si muovono continuamente. A volte si scontrano e i margini crostali si “accartocciano” l’uno sull’altro formando catene montuose che crescono continuamente ed ogni “scontro” genera sismicità. Altri margini scorrono lateralmente l’uno accanto all’altro ed anche in questo caso la frizione tra le placche innesca terremoti. Un terzo tipo di movimento avviene quando la crosta terrestre si assottiglia estendendosi e le placche si allontanano l’una dall’altra, provocando la risalita di magmi basaltici residenti nella parte più superficiale del mantello terrestre. La regione mediterranea ospita lo scontro tra la placca africana, che migra verso nord, e la placca europea, che si contrappone a tale movimento. Il risultato è visibile nelle catene montuose che si snodano dall’Atlante, in Africa settentrionale, poi attraversano la Sicilia e la penisola italiana formando gli Appennini i quali a loro volta si raccordano con le Alpi, per proseguire poi verso est fino a raggiungere la penisola anatolica. Un contesto tettonico complesso ed attivo, che genera una moltitudine di fenomeni geodinamici, sismici e vulcanici, in cui la Sicilia è pienamente coinvolta.
Ma allora anche Augusta risente di questa frequente attività geodinamica?
Augusta e la Sicilia orientale si affacciano sul Mare Ionio, il cui fondale sprofonda bruscamente di tremila metri attraverso una ripida scarpata tettonica: la Scarpata Ibleo-Maltese. Si tratta di una struttura sismogenetica lunga centinaia di chilometri, estesa verso sud fino alle coste africane, attiva da almeno dieci milioni di anni. Essa è responsabile della nascita dei vulcani un tempo attivi sui Monti Iblei, nonché della nascita dell’Etna, attivo da mezzo milione di anni. Ma, soprattutto, la scarpata Ibleo-Maltese genera terremoti, tra i più violenti di quelli che possono accadere nel Mediterraneo centrale. Come il sisma di magnitudo Mw 7.3 accaduto nel 1693, che ha raso al suolo decine di città siciliane provocando oltre cinquantacinquemila morti. Tutti questi pericoli si nascondono ai nostri occhi, celati dal mare nel quale amiamo bagnarci in estate. Un mare che ci si rivolta contro quando viene improvvisamente mosso dai movimenti del fondale marino causati proprio da terremoti come quello appena citato e che ha generato uno tsunami disastroso. La costa prospiciente Augusta, di bassa altezza tanto da ospitare ampie saline, sarebbe facilmente invasa da tsunami anche di modesta entità.
Nel 1990 Augusta è stata colpita da un sisma che ha provocato danni distribuiti in modo non uniforme, danneggiando maggiormente alcuni edifici della zona Borgata. Si conosce il motivo?
In linea di massima, le rocce più dure e compatte si fanno attraversare facilmente dalle onde sismiche senza subire amplificazioni particolari. I terreni compressibili come quelli argilloso-limosi e le successioni di terreni sabbiosi o torbosi saturi d’acqua, invece, si deformano al passaggio delle onde sismiche e tali onde si amplificano fino a produrre vistose oscillazioni che possono causare vistosi danni ai manufatti. È quello che è accaduto in occasione del sisma Mw 5.6 del 13 dicembre 1990 con epicentro poco al largo di Brucoli, un sisma non troppo violento ma che è stato capace di provocare danni più ingenti nel rione Borgata di Augusta, ovvero in zone in cui le case sono costruite sopra terreni torboso-argillosi fortemente compressibili. In zone come quella l’edificazione non è preclusa, ma occorre prendere degli accorgimenti costruttivi atti a limitare i danni causati dal sisma. Accorgimenti a volte costosi ma necessari, per salvaguardare la vita delle persone e garantire la durabilità degli edifici.
E l’Etna? Ci dobbiamo preoccupare?
Non più di tanto. In questi giorni l’Etna sta producendo una tipica “eruzione effusiva subterminale”, cioè un’eruzione alimentata dal condotto centrale del vulcano e che produce prevalentemente un efflusso di lava da una fessura aperta a 3.050 metri di quota sul mare. Questo tipo di eruzioni non è mai pericolosa per le popolazioni etnee, poiché le colate laviche non sono in grado di raggiungere le zone abitate in quanto si raffreddano arrestandosi dopo avere percorso 5-6 chilometri (vedi foto in calce, ndr). Per contro, l’eruzione si è rivelata essere una formidabile attrattiva turistica per migliaia di visitatori che si sono riversati ad ammirare l’avanzare della colata sul fianco innevato del vulcano. Una situazione che ha causato qualche apprensione per la possibilità che la lava, al contatto con la neve, dia luogo a esplosioni che possono mettere a rischio l’incolumità delle persone. Per questo motivo la fruizione del teatro eruttivo è stata regolamentata da alcune ordinanze dei sindaci dei comuni in cui ricade la colata lavica.
