Convento di San Domenico, la storia e i progetti per recuperarlo in una conferenza
AUGUSTA – Augusta è una città che fin dalla sua fondazione federiciana è stata terreno fertile per l’architettura sia militare che sacra. Bastioni difensivi, rivellini, fortezze, palazzi nobiliari, chiese e conventi che raccontano la grande e lunga storia di una città, la quale ha sempre avuto un legame fortissimo con il mare, un sodalizio che dura fino ad oggi col suo porto industriale.
Sapevate che le chiese sorte agli albori erano rivolte verso il mare? Ce l’ha spiegato l’architetto Arturo Alberti, esperto conoscitore della storia architettonica della nostra città: “Augusta ha un patrimonio architettonico monumentale di notevole interesse, se solo venisse curato e valorizzato”. Ci ha confidato l’architetto prima dell’apertura della conferenza.
Durante la conferenza “Storia, particolari architettonici e costruttivi del Convento di San Domenico”, svoltasi mercoledì pomeriggio, 5 aprile, nella centrale sede dell’associazione filantropica “Umberto I” messa a disposizione dal suo presidente Mimmo Di Franco e promossa dalle associazioni “Icob“, presieduta da Alessandro D’Oscini, e “Genitori e figli – Unitevi a noi“, del presidente Antonio Caruso, l’architetto Alberti ha condiviso con il pubblico presente i propri studi e i progetti di messa in sicurezza, di ristrutturazione e riqualifica del complesso monumentale.
Le origini della struttura sembra risalgano al primo periodo del Trecento, alle quali seguirono diverse ricostruzioni, tra cui quella ancora visibile che risale al post terremoto del 1693, poi rivista in periodo ottocentesco. Se la si osserva nella sua attuale posizione, la chiesa dà le spalle al mare, ma dalle sue origini e fino alla ricostruzione del XIX secolo la facciata era rivolta verso ovest, a guardia del porto. Il sagrato era posto su uno dei bastioni e su di esso vi erano dei cannoni a difesa della città, difatti i Domenicani, pur essendo un ordine monastico, avevano il compito di difendere la città insieme all’Ordine dei Cavalieri di Malta.
Il convento annesso ingloba in sé diversi stili e tecniche architettoniche, con la costante dell’imponenza e della robustezza propria delle strutture di difesa. Negli anni che vanno dai primi Ottanta del secolo scorso ad oggi, è stato dato l’incarico di recupero e salvaguardia della struttura all’ingegnere Strazzeri, che con le opere di consolidamento della struttura eseguite nel 1989 salvò quest’ultima dalla furia distruttrice del terremoto del 1990 che colpì la Sicilia orientale. A seguire, anche se con intervalli lunghi, diverse opere di ristrutturazione sono state eseguite, fino all’ultima del 2010.
La struttura di proprietà del Comune era stata inizialmente indicata come sede per degli uffici comunali e poi come sede per un museo, che sarebbe una destinazione consona. Un luogo di rilevanza storica non può essere altro che la casa della cultura ma, come ha fatto presente il sindaco Cettina Di Pietro nel suo breve intervento, il Comune avrebbe spese pubbliche più urgenti di tale riqualificazione. Alberti ha quindi posto l’attenzione su alcuni fondi europei, che non andrebbero a intaccare i fondi pubblici dedicati alla riqualificazione del territorio e della viabilità augustana. A tal proposito, è stato proposto un incontro tra l’Amministrazione e i due tecnici preposti, Alberti e Strazzeri, per valutare i progetti, i costi di realizzazione e gli eventuali bandi per reperire i fondi che servono per tali opere.
Mentre si discute da anni, la struttura è diventata dimora di alcuni clochard, che si sono accampati nei locali ristrutturati nel 2010. Gli stessi lavori di restauro stanno subendo il deterioramento dovuto all’incuria e all’inutilizzo dell’edificio, che potrebbe diventare un luogo dell’arte e della cultura augustana, anche grazie al suo giardino interno, che peraltro una volta riportato agli antichi splendori potrebbe diventare un piccolo polmone verde per la città.
Dalla conferenza è emerso, in definitiva, come la storia di Augusta possa diventare il presente della città, se ci si impegnasse a ridare vita alle strutture che sono la “dimora dell’anima” degli stessi augustani, i quali rischiano di dimenticare di vivere sull’isola definita, almeno un tempo, delle palme.
Marcello Marino