Prima guerra mondiale, i sacrifici degli augustani e il contesto storico-politico
AUGUSTA – “1918: la guerra, la pace, la Sicilia” è il titolo della conferenza tenuta il 24 ottobre nel salone del Circolo Unione di Augusta e promossa insieme all’Istituto nazionale del Nastro azzurro.
Dopo i saluti di rito, la presidente del Circolo, Gaetanella Bruno, ha presentato i relatori, tre docenti universitari del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Ateneo di Catania: Giuseppe Barone, ordinario di Storia contemporanea e direttore dell’Archivio storico per la Sicilia orientale, Alessia Facineroso, docente di Strategia e storia delle relazioni commerciali, Angelo Granata, docente di Storia dello Stato e delle istituzioni politiche italiane.
Ha moderato gli interventi, Cesare Failla, commissario della sezione locale dell’Istituto nazionale del Nastro azzurro (associazione di tutti i decorati italiani di medaglia al valor militare, dalle guerre d’indipendenza fino all’attualità). Failla ha ricordato l’armistizio di Villa Giusti, di cui è prossimo il centenario, siglato il 3 novembre 1918 nella villa del conte Vettor Giusti del Giardino, a Padova, fra l’Impero austro-ungarico e l’Italia. Failla ha sottolineato che: “È importante ricordare gli eventi. Mi sembra strano oggi leggere sui giornali frasi tipo: l’Italia contro l’Europa, Europa contro l’Italia. Certo i motivi che spingono a scrivere queste frasi sono diversi da quelli che determinarono il sorgere del conflitto mondiale, però appare strano dover risentire oggi, a distanza di cent’anni, queste frasi”.
Poi, la prima relatrice, Facineroso, ha affrontato il tema “Il lutto e la gloria, l’impatto sociale della grande guerra ad Augusta”, premettendo che “per capire il contributo che Augusta dà al conflitto dal punto di vista delle operazioni belliche e militari, è importante ricordare la battaglia di Vittorio Veneto, partendo dalle parole di un militare augustano, che nel 1918 imbraccia non le armi, ma la penna perché vuole raccontare a casa quello che sta succedendo. Di lui rimangono solo le iniziali, G.M., perché la sua lettera viene sequestrata dall’Ufficio censura dell’esercito subito dopo essere stata scritta“, dal momento che “fornisce informazioni dettagliate sulla localizzazione del suo battaglione in un momento in cui le operazioni sono molto delicate“.
La docente ha delineato il quadro della Prima guerra mondiale e snocciolato i tragici numeri della “grande guerra”: 12 milioni di morti, 13 milioni di feriti, 8 milioni tra prigionieri e dispersi; un numero di vittime particolarmente elevato, 44.500, anche in Sicilia, che ebbe il numero più alto di mobilitati in relazione alla popolazione rispetto a tutte le altre regioni meridionali.
“Non regge, dunque, l’idea, solo settentrionale, come ci viene detto spesso, di una Sicilia piena di disertori, di un’Isola che non vuole partecipare alla guerra – ha affermato Facineroso – Non solo non è così. Se si guardano i dati, si vede che tutte le province siciliane danno il loro contributo con numeri molto alti. Sulla base dei dati che ci vengono forniti dall’Albo d’Oro dei Caduti della Grande Guerra, Augusta sacrifica al conflitto 142 uomini. Al momento dell’entrata in guerra l’Italia è investita da un clima di festa patriottica. L’augustano Francesco Marotta, nel 1915, quando muore in un combattimento ha appena vent’anni e la stampa locale si occupa della sua morte quasi con dei toni epici. Le cose cambiano già l’anno successivo”.
La relatrice ha ricordato anche il contributo del colonnello Vincenzo Nastasi. “Si trova a pochi chilometri da Caporetto quando si rende conto della disfatta – ha spiegato – Lo viene a sapere dalle voci di alcuni soldati e si mette in marcia per vedere cosa succede. Nastasi è uno dei primi a ribaltare la lettura di Caporetto. Dirà: è la catena di comando che non ha funzionato e questo ci ha fatto perdere”. La docente ha infine menzionato Giuseppe Pignato, sottotenente del 150° battaglione di fanteria, morto in prigionia per le ferite riportate in combattimento, medaglia d’argento al valore militare.
La relazione successiva, quella di Angelo Granata, ha riguardato il tema de “La mobilitazione civile in Sicilia” fino ad Augusta. “Nel 1914, un anno prima della guerra – ha evidenziato Granata – il sindaco di Siracusa costituisce un comitato di liberazione civile, e l’anno dopo una grande opera con il comitato di liberazione femminile che opererà per dare assistenza alle famiglie, ai bambini, per mandare vestiti ai soldati e altro. Riescono anche a raccogliere la cifra enorme di 150 mila lire”.
Per quanto riguarda il ruolo di Augusta, ha puntualizzato: “L’Italia in funzione anti-austriaca aveva finanziato Taranto e in funzione antifrancese aveva finanziato La Spezia, Augusta rimane fuori da questo circuito di finanziamenti. Le cose cambiano quando l’Italia si rende conto dell’importanza delle colonie africane, laddove diventa necessario per l’arsenale militare fornire il carburante alle navi che le deve raggiungere. Ad Augusta si sviluppò il porto commerciale che esportava prodotti agricoli, vinicoli, e la grande risorsa di Augusta: il sale. Chi erano stati gli uomini che avevano favorito lo sviluppo del territorio? Salvatore Omodei, che era riuscito a ottenere finanziamenti per il porto, e l’uomo nuovo della politica, Vincenzo Nastasi, sindaco dal 1912 al 1913. Nastasi riesce a risanare il bilancio comunale, fatto mai successo prima, mette una cassa per gli esercizi commerciali e fa tornare acqua e luce nelle periferie, ma non viene rieletto dopo che Giolitti scioglie il consiglio. La città era divisa fra nastasiani-interventisti e omodeani-neutralisti. Per gli interventisti la guerra viene vista come possibilità di sviluppo”.
In conclusione di relazione, Granata ha ricordato: “C’è un momento in cui Augusta si ricompatta: in occasione della costruzione del monumento ai caduti. Molti corpi dei caduti non tornano in patria, per questo nascono in monumenti ai caduti. Quello di Augusta, creato dallo scultore Turillo Sindoni, è forse l’emblema di come Augusta affronta la guerra: onore e dolore”.
Quindi Barone ha trattato l’argomento “La Vittoria mutilata e la crisi dello Stato liberale”. Innanzitutto, ha ricordato che il fisico “Orso Mario Corbino partecipa alla guerra da augustano illustre, andando a presiedere il Consiglio nazionale delle acque, per produrre energia idroelettrica; Corbino, poi, sarà ministro del governo Bonomi dell’Istruzione e dell’Economia nazionale sotto Mussolini“. Poi, un altro grande personaggio: Giuseppe Muscatello, negli anni della guerra rettore dell’Università di Catania, “chirurgo che apre una clinica privata per i feriti di guerra“.
Ma la battaglia di Vittorio Veneto e poi l’armistizio del 4 novembre hanno assunto un’accezione quasi negativa, nel concetto di “vittoria mutilata“, da cui emersero la immediata contrapposizione ideologica, il crollo dello Stato liberale e la successiva dittatura. In Italia la guerra era stata vinta, ma allora qual è stato il fattore negativo?
Per il relatore, “la cattiva gestione della pace“, dacché “l’Italia all’indomani della guerra si presenta a Parigi con un trattato di pace (segreto firmato a Londra nell’aprile del ’15) che non era più sostenibile: chiedeva Trento, Trieste, Istria e voleva riconosciuta tutta la Dalmazia, un pezzo consistente dell’impero asburgico“. “Una richiesta che nel 1919 non poteva essere più accettata. Nello stesso tempo una delegazione italiana a Parigi chiedeva Fiume. Lo sforzo bellico fu macchiato da una pessima trattazione diplomatica e questo creò risentimento, spaccò il Paese fra una destra nazionalista e una sinistra massimalista. Questo diede spazio – ricorda Barone – a una piccola minoranza come quella dei fascisti di prendere il potere“.
Il docente universitario ha insistito, infine, sui temi d’attualità, a partire da una coscienza nazionale, “che deve essere un valore assoluto e oggi né la famiglia né la scuola lo insegnano“, e che “deve avere anche una concezione europeista“. E lancia un monito: “Sia chiaro, l’Unione europea è piena di errori e contraddizioni, ma attenzione: non buttiamo il bambino insieme all’acqua sporca. L’Europa unita è ciò che ci ha garantito dal 1945 in poi settant’anni di pace. Quei sacrifici della guerra sarebbero resi inutili qualora diventassimo complici di un anti-europeismo”.