AUGUSTA – Lo avevamo intervistato in esclusiva ad agosto, dopo aver qualificato l’imbarcazione italiana alle prossime Olimpiadi di Rio. Lo abbiamo incontrato appena rientrato ad Augusta, per l’atteso ritorno a casa. Si tratta di Salvo Ravalli, atleta della paracanoa, categoria KL1, già vicecampione mondiale e, come noto, prossimo olimpionico.
Ci ritroviamo, più sorridenti di prima. Dopo aver regalato all’Italia una qualificazione olimpica con il sesto posto ai mondiali di Milano, torni dal test preolimpico di Rio de Janeiro con una medaglia d’argento.
Lavoro per l’obiettivo Rio 2016 da oltre due anni. Sono felice di aver portato altri punti alla Federazione italiana, considerato che il test preolimpico viene equiparato a una competizione intercontinentale, di livello superiore al mondiale e ovviamente un gradino sotto la gara olimpica.
Il tuo secondo posto ha sorpreso in positivo gli esperti. Ma abbiamo compreso che tu punti al miglior risultato possibile.
Lì non ho avuto la barca con cui mi alleno tutti i giorni. La canoa è stata fornita dagli organizzatori e non versava in condizioni ottimali. Nonostante l’inconveniente, rispetto ai mondiali di Milano, sono riuscito a migliorarmi ancora. E ho ridotto lo scarto dal favoritissimo atleta di casa da un secondo a pochi centesimi. Mi fa ben sperare.
Domanda secca. Che prospettive concrete hai di medaglia olimpica?
Una volta fatta chiarezza sulla categoria di appartenenza di due atleti, che non avrebbero la mia stessa disabilità, a Rio penso di potermela giocare con l’idolo di casa e amico Fernando Fernandes.
Rispetto alla precedente intervista, vorremmo approfittare della tua schiettezza per affrontare il tema della disabilità, colpevolmente dimenticato da sistema educativo e informazione.
Vero, se ne parla poco. Forse in questi anni ci si sta svegliando. Infatti mi è capitato di ricevere inviti dai dirigenti scolastici di istituti di medie inferiori e superiori della provincia nell’ambito di progetti di informazione sulle disabilità. Ho sempre accettato con gioia, portando il mio materiale da proiettare, per far capire soprattutto ai più giovani come ci si può ritrovare su una carrozzina e vivere alla grande.
Ricordi qualche domanda particolare posta dagli studenti?
Due domande, una comune e una coraggiosa. Quella comune è: “Come fai senza poterti mettere in piedi a salire sulla canoa?”. Quando hai davanti una vita in carrozzina, la prima lezione da imparare è come rendersi autonomi sotto ogni aspetto. Imparare la tecnica per risalire da terra sulla carrozzina, e nel caso del mio sport, per trasferirsi dalla carrozzina alla canoa. Spiego che ci si può mettere per terra da soli o con l’aiuto dell’allenatore. Poi, utilizzando una pedana piccola e pure economica tra il pontile e un galleggiante, si procede al trasferimento da terra alla barca. Basta che qualcuno la tenga ferma. Una volta su, la mia disabilità si dissolve.
E la domanda coraggiosa?
Un ragazzo di seconda media, molto sveglio, mi chiese: “Ma quando c’è una lesione al midollo si interrompe tutto o passa qualcosa?”. Gli risposi, limitatamente a quanto appreso nella mia esperienza, che ci sono tipologie e gradi diversi di lesione, che possono interessare la sensibilità e la motoria. Mi colpì particolarmente.
Tu hai un’associazione, “La forza di Salvo Ravalli”, e un progetto, per il quale metti a disposizione della collettività una barca accessibile ai disabili.
Dal 2008 allo scorso anno, ho organizzato delle escursioni lungo la costa augustana a bordo di un motoscafo, acquistato da mio padre, riservate ai diversamente abili. Per spiegarne il fine in poche parole, descrivo sempre l’espressione estasiata di un mio caro amico, da 25 anni in carrozzina, alla vista del nostro Sbarcatore. Purtroppo, per il tempo sottratto dalla preparazione atletica in vista delle Olimpiadi di Rio, la mia barca è rimasta tirata a secco questa estate e lo sarà anche la prossima. Prometto che tra due estati la barca tornerà in acqua.
In merito all’attenzione verso le disabilità e le barriere architettoniche, partiamo dalla realtà brasiliana.
Almeno a Rio, sono avanti. Nell’ultimo test preolimpico ci hanno fatto trovare bus con pedana, come a Mosca peraltro, che consentono di spostarsi senza scendere dalla carrozzina. Per non parlare delle famose spiagge di Rio, tutte attrezzate con scivoli e pedane, che annullano le barriere architettoniche.
Per tornare, forse troppo bruscamente, ad Augusta.
Ad Augusta gli scivoli sono pochi e fatti male. Quelli realizzati in Borgata, tra via Lavaggi e viale Italia, sono troppo ripidi. Anch’io, che ho la preparazione di un atleta, ho avuto difficoltà.
Quali aspettative personali nutri nei confronti della nostra Città?
L’assenza di infrastrutture pubbliche non mi fa ben sperare. Basti pensare che ogni giorno ho necessità di fare palestra, piscina e poi canoa. Si osservi la situazione della ex piscina comunale per capire che gli impedimenti qui vanno ben oltre le barriere architettoniche. Ma non mi rassegno, vorrei presentarmi un giorno ad una competizione internazionale come atleta augustano tesserato con una società sportiva augustana.
Per tornare, chiudendo l’intervista, allo sport. Corre voce che tu abbia intenzione di entrare definitivamente nella storia dello sport azzurro, e non solo attraverso Rio.
Come ho rivelato al presidente e al tecnico della Federazione, il mio sogno è battere il record di Josefa Idem. Lei partecipò a Londra 2012 all’età di 48 anni. La mia intenzione è quella di non fermarmi a Rio e di pormi come obiettivo finale la qualificazione a Tokyo 2020, quando avrò 49 anni.
In bocca al lupo a un campione augustano, non solo di sport.
Diletta Casole