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Un diciottenne americano ad Augusta: cosa resta di un anno di “scambio”

AUGUSTA – “Ho mangiato un arancino che ha cambiato la mia vita. Dopo non potevo smettere di mangiarli”. L’arancino o arancina, a seconda che ci si sposti nella parte orientale della Sicilia o in quella occidentale, conquista i palati di ogni nazionalità. Ha sedotto anche il gusto di Jaimeson Hicklin, diciottenne originario di Grinnell, cittadina di appena diecimila abitanti degli Stati Uniti, in Iowa.

Il giovane Jaimeson, dai tratti orientali, è venuto ad Augusta, dove ha assaggiato per la prima volta l’iconografico rustico siciliano, nell’agosto del 2016 con il programma “Scambio giovani” promosso dal Rotary international, gestito nella fattispecie dal Rotary club locale. Con questi scambi a lungo termine, gli studenti trascorrono dodici mesi in un Paese estero, ospitati da una o più famiglie del posto, e frequentano la scuola del luogo, contando sul supporto economico del Rotary. Il diciottenne di Grinnell è stato ospitato per un intero anno da una famiglia augustana, la famiglia Pulia, che a sua volta ha potuto inviare la figlia Marta negli States, per il medesimo periodo ad Ottumwa, sempre in Iowa.

In una chiacchierata con Jaimeson, il giorno prima del suo volo di ritorno, abbiamo iniziato col soddisfare la più legittima delle curiosità: quali aspetti di Augusta restano scolpiti nella mente di un giovane americano. “In tutta la mia vita non avevo mai visto il mare. Nel mio paese per vederlo dovrei guidare per venti ore. Il giorno in cui ho preso l’areo a Roma per arrivare a Catania, ero seduto dal lato del finestrino e dall’alto ho visto il mare, era bellissimo, proprio come lo immaginavo”. La stessa meraviglia che ha suscitato in lui, rivela, all’arrivo in auto insieme alla famiglia ospitante, il panorama che si scorge percorrendo il ponte intitolato a Federico II che collega il quartiere Borgata con il centro storico di Augusta. Dopo un anno di permanenza, cita a memoria ciò che del patrimonio monumentale, e non solo, della città porterà con sé: il Faro Santa Croce, il Castello Svevo, il Museo della Piazzaforte e “i presepi nelle chiese a Natale”.

Il suo è un italiano quasi fluente, appreso attraverso la quotidiana applicazione al liceo linguistico del “Megara”, inserito formalmente nella classe quarta. L’istituto per agevolare l’apprendimento del ragazzo ha creato un programma ad hoc, incrementando lo studio di alcune materie, come le lingue (italiano, inglese, francese e spagnolo), ed escludendone altre. Inoltre, un po’ come accade nelle “high school” statunitensi, dove non esiste una classe vera e propria ma singoli corsi, con docente e aula specifici, Jaimeson ha avuto modo di cambiare classe all’interno dello stesso istituto a seconda delle lezioni che doveva seguire. “Volevo fare lo scambio giovani anche perché negli stati Uniti la mentalità della scuola è un po’ chiusa – ci confida –: pensano che l’inglese sia l’unica lingua importante e che dobbiamo studiare solo la storia americanaDesideravo andare in un Paese estero per imparare le lingue. In Italia in più c’è tanta arte, tanta storia, e tanta cultura”.

Jaimeson ha potuto visitare anche diverse capitali europee insieme ad altri ragazzi che hanno aderito a un tour continentale dedicato agli studenti in visita. In Sicilia ha conosciuto capoluoghi di provincia, quali Palermo, Enna, Catania, Siracusa, Messina, e altre note mete turistiche. È rimasto affascinato dal barocco di Modica, dallo splendore dell’isola di Ortigia, cuore antico di Siracusa, e dalle bellezze naturali di Lipari, la più grande delle isole Eolie.

Tornando alle differenze tra i sistemi educativi, il diciottenne statunitense evidenzia un altro aspetto: “Nel mio paese, dopo la scuola andavo a giocare a tennis. Negli Stati Uniti è molto importante fare sport, anche per tre o quattro ore al giorno. Qui, invece, la pratica dello sport è libera perché è “più importante” studiare”. E poi ci ha raccontato un aneddoto: “Ricordo il primo mese. Una mattina, durante un’interrogazione di filosofia, una mia compagna ha pianto per l’ansia, mentre io in quel momento ho pensato: che bella la scuola italiana! Il fatto che le interrogazioni devono essere fatte oralmente, rispetto agli Stati Uniti dove facciamo solo test scritti, permette allo studente di capire ciò che sta studiando anziché memorizzarlo. I professori sono molto esigenti in questo senso. Tutte le cose che ho imparato in questa scuola, le sto utilizzando nella vita. Mi è piaciuto molto studiare la storia dell’Europa”.

Dedica un pensiero agli “host parents” augustani, che, riconosce, gli hanno trasmesso l’affetto e i valori di una famiglia italiana che sa riunirsi intorno al tavolo durante i pasti: buon cibo condito da piacevole conversazione, associazione ormai rara ad ogni latitudine, che ha apprezzato. Quindi, in una semplice frase riassume la sua esperienza: “Se non fossi venuto ad Augusta, non avrei mai aperto gli occhi sul mondo”.


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