Teatro, alla prima nazionale di “Danny e il profondo blu”
PALERMO – Le prime teatrali vengono abitualmente immaginate come eventi mondani in cui personaggi pubblici e opinionisti sfoggiano il loro “interesse” per l’arte e la cultura, ma non è questo il caso. Ci troviamo al Teatro Garibaldi di Palermo alla Kalsa, nel cuore della Palermo antica. Il pubblico composto ed elegantemente sobrio sta ancora accomodandosi quando la scena viene invasa da una giovane donna in abiti “punk”, di quelli che vestono le persone maltrattate dalla vita. Tra gli spettatori si mormora: “Ma che fa quella? Secondo me è tutta fatta…”, ma presto si palesa la sua identità. È Roberta, una dei due protagonisti della scena. Così, silenzio e attenzione ovattano il teatro: è iniziato lo spettacolo.
John R. Pepper porta in scena “Danny e il profondo blu”, tratto dall’opera di John Patrick Shanley, autore newyorkese che vanta un Oscar e un Pulitzer, che sarà in replica a Palermo fino al 28 febbraio per poi partire alla volta di Milano. È una storia d’amore tra due figure autodistruttive che si scontrano e incontrano nei loro drammi esistenziali, si attaccano e attraggono in un tango violento e armoniosamente scomposto, in cui Roberta (Laura Anzani) e Danny (Leonardo Sbragia) ci rapiscono e coinvolgono nelle loro non vite.
È una regia non convenzionale. Il pubblico, a contatto diretto con la scena, è penetrato dalle vibrazioni dei personaggi. Energie invasive e taumaturgiche, dalla prima fila, risalgono le gradinate fino alla cima, dove i The Pepper Brothers rimandano l’onda emozionale con la loro musica in un continuo fluire di emozioni angoscianti, di riflessioni inattese e di catarsi. Due atti e due personaggi si evolvono e riscattano nel ring elegantemente pensato da Mela Dell’Erba. Così, gli spettatori si trovano catapultati nella sudicia quotidianità della “Bestia” interpretata da Leonardo Sbragia, che non indossa ma diventa Danny stesso, e dell’isterica forza – ora morbida ora plastica – di Laura Anzani che lo accompagna. John Pepper fonde spezzoni del suo film alla scena per fare il suo teatro, creando una dimensione sensoriale plurima che cola sullo spettatore come sangue misto a pioggia.
“Viviamo in una società multitasking in cui le persone sono abituate a ricevere informazioni dai vari media in simultanea, la mia è stata una scelta azzardata ma credo che così anche il teatro potrà arrivare ai giovani senza appesantirli”, ha spiegato il regista. E sembra proprio che abbia colto nel segno, perché le due ore di spettacolo fuggono come in sogno, là dove contrazione e dilatazione del tempo si confondono e fondono lasciando il pubblico stordito ma più umano. L’applauso finale ripetuto ad oltranza, con gli interpreti chiamati più volte a uscire per essere acclamati e i ringraziamenti di John Pepper accompagnato mano nella mano da Mela Dell’Erba (scenografa e costumista) e Patrick Boggero (luci), continua per Gabriele Lentini (fotografo di scena), Raffaella Mattioli (realizzazione oggetti di scena e costumi) e tutte le persone che hanno lavorato alla realizzazione dell’opera, oltre che per i produttori Yare Produzioni e Merenda Film.
“Non riesco mai a dormire bene sul serio.
Non riuscivo più a chiudere gli occhi sai?
Perché se chiudevo gli occhi era solo nella mia testa.
E non può uscire.
Dalla mia testa.
Palazzi che bruciano e gente che sprofonda giù nella terra.
Mio padre. Mio figlio. Mia madre che prega.
È il diluvio.
Non sai mai se cammini su una pozzanghera o se stai per mettere il piede nel posto sbagliato e lì dentro anneghi”.
Un’altalena emotiva in cui lo spettatore è prima risucchiato nella disperazione dei personaggi, e poi riscattato nella salvezza dell’humanitas. E così, quando tutto sembra perduto, in una “bugia” di Roberta annega il pessimismo paranoide di Danny, che a sua volta diviene forza per azzittire il mostro sacro dello scetticismo.
Una legge matematica: meno per meno uguale più. Il risultato è una speranza.
Marcello Marino