Cultura

Breve storia di Augusta: restauri zona istmo e terremoti storici

AUGUSTA – Nell’ambito di una più ampia iniziativa editoriale promossa da La Gazzetta Augustana.it di divulgazione e promozione della storia di Augusta, abbiamo previsto una rubrica settimanale tematica nel nostro web magazine di approfondimento “Cultura”. Ha per titolo “Breve Storia di Augusta” ed è curata da Filippo Salvatore Lentini, detto Salvo, già ufficiale della Marina Militare, che da appassionato alle vicende storiche e alle tradizioni augustane, facendo ricorso ad un’estesa bibliografia che comprende i numeri del “Notiziario storico di Augusta” e i diversi lavori succedutisi nel tempo di noti studiosi della storia cittadina (che Lentini ci ha chiesto di menzionare in ordine casuale in premessa: Mario Mentesana, Elio Salerno, Tullio Marcon, Ennio Salerno, Vincenzo Vinciguerra, Ezechiele Salerno, Giorgio Casole, Sebastiano Salomone, Giovanni Vaccaro, Giuseppe Messina, Giovanni Satta, Giuseppe Carrabino, Italo Russo e non solo), ha pubblicato nel 2008 l’apprezzata opera dal titolo “L’Isola delle Palme”. Offrirà ai lettori de La Gazzetta Augustana.it, per la prima volta su una testata, la versione ridotta e adattata al web della sua pubblicazione.

4. Restauri zona istmo e terremoti storici.

  • Restauri zona istmo
La “Porta Spagnola”, il cui vero nome è “Porta Santo Stefano”, all'inizio del Novecento

La “Porta Spagnola”, il cui vero nome è “Porta Santo Stefano”, all’inizio del Novecento

Ideata e costruita nel 1681 dall’ingegnere spagnolo Carlos de Grunembergh, su richiesta del viceré Benavides, la “Porta Spagnola” costituiva l’unico vero accesso alla città, che all’epoca era tutta raccolta sullo “Scoglio”: una volta chiusa, come quella di una comune casa, non poteva entrare più nessuno.

La funzione difensiva di tale porta, unico passaggio per raggiungere la città posta sull’isola, era ancor più avvalorata dalla presenza di due ponti, che all’origine erano levatoi, manovrati da corpi militari di guardia alla fortezza, e che restarono tali presumibilmente fino a metà ‘800, quando furono ricostruiti fissi ed in calcestruzzo.

Nel 1936  furono totalmente eliminate le vecchie fortificazioni spagnole presenti sul Rivellino Quintana e i ponti furono risistemati ed allargati; nel secondo dopoguerra, nell’ambito delle riparazioni dei danni causati dai bombardamenti, furono pavimentati, consolidati nei piloni di sostegno e bordati con la costruzione di due marciapiedi laterali.

Con l’incremento demografico cittadino ed il conseguente aumento del traffico veicolare, causato anche dagli automezzi moderni sempre più grossi, la Porta Spagnola risultò essere diventata “piccola e stretta”, incapace di smaltire il continuo passaggio dei tanti veicoli nei due sensi di marcia che, nonostante la presenza di un sistema di semafori, era sempre molto difficoltoso.

La zona vicino alla Porta Spagnola nei primi anni Venti dello scorso secolo

La zona vicino alla Porta Spagnola nei primi anni Venti dello scorso secolo

Una situazione difficile e talmente caotica che, nella parte finale degli anni Settanta dello scorso secolo, inevitabilmente, indusse gli amministratori locali a far abbattere una parte della fortificazione accanto alla stessa antica porta, per poter usufruire di un altro passaggio per entrare in città. Contestualmente anche i vecchi ponti spagnoli subirono un nuovo restauro, che li rese abbastanza larghi, al punto tale da farli sembrare uno solo: ed è la loro struttura attuale.

Tali restauri furono necessari per creare un varco alternativo e cercare quantomeno di tamponare alla meglio il problema del traffico veicolare, in attesa che si realizzasse il tanto atteso viadotto sul Golfo Xifonio: cosa che avverrà nel 1993.

Il recente restauro dell’antica “Porta Santo Stefano”, comunemente chiamata “Porta Spagnola”, l’ha restituita con un look diverso e non più affascinante come quello di prima, soprattutto per tutti coloro che l’hanno guardata nell’ultimo mezzo secolo, al punto tale da non sembrare più la stessa!

  • Terremoti storici

L’ultimo scorcio del Seicento è, purtroppo, anche il periodo in cui avvenne un catastrofico terremoto e tutta la città di Augusta venne messa a dura prova dal più luttuoso evento della sua storia, che provocò numerose vittime fra la popolazione ed ingenti danni all’intero patrimonio edilizio della città, che fu ridotta ad un cumulo di macerie.

Il tremendo sisma, “annunciato” con violente scosse avvenute il 9 gennaio 1693, si manifestò nella sua totale forza devastante due giorni dopo, l’11 gennaio, radendo stavolta al suolo quasi del tutto la cittadina megarese. Nel castello svevo il sisma provocò l’esplosione della polveriera all’interno di una torre, apportando ingenti danni alla stessa fortezza che, comunque, resisterà nelle sue principali strutture portanti. Questa esplosione sprigionò anche un’improvvisa e violenta pioggia di pesanti ed infuocati detriti, causando molte vittime fra le tantissime persone che, per sfuggire al pericolo rappresentato dalla caduta dei muri delle costruzioni nelle vie cittadine, per maggior sicurezza si erano “rifugiate” nel vasto piano del castello, ritenuto più sicuro!

Fra le altre strutture militari, la lanterna di torre Avalos fu divisa in due e crollò, i forti Garsia e Vittoria furono squarciati in più parti, probabilmente fu in quell’occasione che si distrusse la Porta di Mare posta sul Rivellino Quintana (costruita da pochi anni) e crollò per intero pure la torre interna del castello di Brucoli.

Il terremoto intaccò interamente gli edifici religiosi esistenti; costruzioni raggruppate in massima parte nell’area compresa fra l’attuale piazza Castello e la via Limpetra, ovvero in quello che rappresenta l’antico centro storico della città. La successiva “ricostruzione post terremoto” fu una buona occasione per restaurare ed ingrandire le chiese ed i conventi danneggiati dal sisma e per ricostruire ex novo le costruzioni religiose interamente distrutte. In sostanza quasi tutto il patrimonio edilizio della città, sia religioso che civile, è postumo al terremoto del gennaio 1693 e i grandi restauri, così come le nuove costruzioni, furono in buona parte realizzati in stile barocco, tanto di moda in quel periodo.

Il terremoto del 1693, descritto con una cronaca ricca di notizie e di rilevanti particolari da una sopravvissuta e sconosciuta monaca del Monastero di Santa Caterina, non è di certo stato l’unico verificatosi ad Augusta. Purtroppo la sua posizione geografica, della stessa Sicilia e di tutto il bacino del Mediterraneo pone ad alti e gravi rischi sismici tutta questa vasta area, che da innumerevoli millenni viene frequentemente colpita da vari terremoti che hanno generato morti, distruzioni di ogni genere e persino mutamenti geografici.

Crocevia fra via Roma e via P. Umberto ("a Monaca"), dopo il terremoto del 13 dicembre 1990

Crocevia fra via Roma e via P. Umberto (“a Monaca”), dopo il terremoto del 13 dicembre 1990

I terremoti precedenti, quali per esempio quelli registrati nell’aprile del 1326 e nel dicembre del 1542, sono ricordati in maniera meno grave e poco documentata solo perché la popolazione di quei periodi era ancora esigua, così come rade erano le costruzioni esistenti; quindi un qualsiasi sisma di rilevante entità, apportava danni ritenuti insignificanti da poter essere menzionati con una grande eco ai posteri.

I terremoti verificatisi in epoche più recenti sono certamente molto documentati e ricchi di particolari, grazie alle tecniche sempre più aggiornate e moderne, che ne hanno facilitato il ricordo alle generazioni future. Nel gennaio 1848 si verificò un terremoto che, accompagnato da un terribile maremoto, arrecò ingenti danni alle navi ormeggiate alla vecchia darsena e generò immensi danni edilizi, lasciando moltissime persone senza casa e all’addiaccio.

Nell’aprile del 1978, e siamo proprio ai tempi moderni, un terremoto causò lievi danni e solo un gran panico nella popolazione, costringendola ad evacuare per qualche giorno nelle campagne dell’entroterra. Infine, ed è storia molto recente ed ancora abbastanza presente nel contesto della vita cittadina, il terremoto del 13 dicembre 1990, detto di Santa Lucia, che ha arrecato tanti danni soprattutto all’edilizia urbana.

Salvo Lentini


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