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Studio di un vulcanologo augustano rivela rischi tumorali nelle zone di faglia

AUGUSTA – Le faglie etnee, che tanti danni procurano quando decidono di muoversi generando i terremoti, costituiscono anche delle “autostrade” per la risalita di gas residenti nelle rocce del sottosuolo. Tra questi gas c’è pure il radon, un gas potenzialmente molto pericoloso perché cancerogeno.

Questa la premessa di un importante studio preliminare, pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale di ricerche scientifiche Frontiers in Public Health, condotto per tre anni dal vulcanologo augustano Marco Neri (nella foto di repertorio in evidenza), primo ricercatore dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – sezione di Catania, insieme ai colleghi Salvatore Giammanco e Anna Leonardi.

Il gas radon è utilizzato comunemente nelle geoscienze come tracciante dell’attività eruttiva e sismica, ma in questo studio (dal titolo “Preliminary Indoor Radon Measurements Near Faults Crossing Urban Areas of Mt. Etna Volcano”) per la prima volta si indaga sull’aspetto dell’inquinamento indoor da gas radon delle case che si trovano prossime ai piani di faglia. Proponiamo qui di seguito il contributo pubblicato da Marco Neri sul Blog Osservatorio Etna de La Gazzetta Siracusana.it.

Il fianco orientale dell’Etna è attraversato da numerose “faglie”, fratture della crosta il cui movimento produce terremoti. Lo sanno bene le popolazioni etnee, soprattutto quelle della zona sud-orientale del vulcano, che stanno facendo i conti con le conseguenze del sisma del 26 dicembre 2018: migliaia di case danneggiate e l’economia della zona in ginocchio, mentre la ricostruzione stenta ancora a partire.

Ma le faglie dell’Etna non generano solo terremoti. Fratturando le rocce, le faglie aumentano la permeabilità del sottosuolo e consentono ai gas di arrivare più facilmente in superficie. Tra questi gas c’è anche il radon.

Nelle geoscienze si usa comunemente il radon come tracciante dell’attività eruttiva e sismica. Ma il radon può anche favorire l’insorgere di patologie tumorali. Dal 1988, infatti, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) lo classifica come “cancerogeno di gruppo 1”, ossia il peggiore in termini di impatto sulla salute, inquadrandolo al secondo posto, dopo il fumo da sigaretta, quale causa per l’insorgenza di tumore ai polmoni.

Anche per questo motivo, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha iniziato da alcuni anni a monitorare le concentrazioni di gas radon nelle abitazioni etnee. È di questi giorni la pubblicazione di un primo articolo scientifico (link: https://doi.org/10.3389/fpubh.2019.00105) che espone i dati di radon indoor rilevati continuamente da dodici sensori, per lunghi periodi (da alcuni mesi fino ad oltre tre anni), installati dentro sette edifici ubicati in aree diverse del vulcano, da Paternò ad Aci Castello, da Zafferana Etnea a Giarre e Aci Catena.

I risultati non sono confortanti riguardo la salubrità di alcuni ambienti domestici. Nel lungo termine (più di 1 anno), sette sensori su dodici hanno mostrato concentrazioni medie di radon maggiori di 100 Bq/m³ (Bequerel per metro cubo, l’unità con cui si misura il radon) che rappresenta il primo livello di attenzione per l’esposizione media annuale raccomandato dall’OMS, mentre due sensori hanno mostrato una concentrazione media di radon superiore a 300 Bq/m³. In tre casi, il radon è rimasto su valori maggiori di 500-1000 Bq/m³ per molti mesi consecutivamente.

Oltre a ciò, si è potuto verificare che esiste una relazione tra le abitazioni maggiormente inquinate dal gas radon e la posizione delle faglie: più le case monitorate sono ubicate in prossimità delle faglie etnee, più è alta la concentrazione di radon al loro interno.

Questo studio rappresenta soltanto un primo monitoraggio continuo e pluriennale del radon nelle case situate sulle pendici dell’Etna, dove vive quasi un milione di persone. I risultati non devono necessariamente allarmare. Si tratta di un primo studio, condotto su un piccolo campione di abitazioni. Tuttavia, i valori raccolti mostrano che è necessario approfondire ed estendere questo monitoraggio, tenendo conto dei risultati già ottenuti ed orientando le analisi soprattutto nelle aree urbane poste in prossimità di faglie attive, esposte quindi al doppio pericolo di scuotimenti sismici e di potenziali inquinamenti da radon delle abitazioni.


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